di Raffaele Corrado

Qualcuno diceva che la civiltà di un popolo si misura da come tratta i propri ospedali. Perciò, se si prova una vergogna infinita nel vedere che nei pronto soccorso degli ospedali di Corigliano e Rossano ci sono pazienti che passano qualche ora o qualche giorno in attesa di un letto in reparto o che mancano le attrezzature necessarie a monitorare chi arriva in codice rosso o le barelle dove visitare i pazienti meno gravi, vuol dire che siamo in uno stato avanzato di decomposizione civile. Uno stato, tra l'altro, che configge con i diritti umani e con quella Costituzione, per molti ritenuta intoccabile ma mai attuabile, che ci ricorda che la salute è un diritto. Riconosciuto. Saldo. Anche quando i disservizi sono un fattore cronico. Come avviene proprio ai pronto soccorso, dove il caos ormai regna sovrano da tempo e dove si verifica di tutto, sotto l’occhio indifferente di medici, che non vogliono assumersi responsabilità per contrarstare il malfare (perché se lo fanno sono spesso presi a cazzi in faccia da dirigenti che non vogliono fastidi), pazienti rassegnati e soprattutto politici ruffiani. I quali, quando si occupano di sanità, dovrebbero essere processati per omicidio colposo, se non preterintenzionale, perché trascurando intenzionalmente gli investimenti seri, che poi sono quelli su attrezzature e personale di alto livello professionale (che pure c'è e andrebbe solo motivato), altro che ospedale unico, fanno sì che la gente in ospedale, proprio per queste scelte scellerate, muoia o si faccia male sul serio. E “non è certo una novità, se sguarnisci gli ospedali e metti le persone sbagliate al posto sbagliato”, come spiega un operatore sanitario, ma non è nemmeno una cosa che dovrebbe accadere con questa facilità, aggiungiamo noi. Infatti qui, nelle scorse settimane, proprio per l’inadeguatezza delle strutture sanitarie, qualcuno ci ha lasciato le penne, senza che la cosa suscitasse l’indignazione della città e della sua classe dirigente, che sull’accaduto né ha discusso, né si è arrabbiata. Come se alle morti per malasanità si fosse ormai assuefatta, quasi come fossero una cosa naturale, una specie d’influenza stagionale. Eppure, viste le proporzioni di ciò che accade, si dovrebbe capire che siamo in presenza di una vera e propria emergenza. La quale, in sé, ha mille cause: la cattiva educazione sanitaria dei cittadini che al pronto soccorso si rivolgono con troppa facilità, la scarsa collaborazione dei medici di base che inviano i pazienti in ospedale piuttosto che attivare percorsi ambulatoriali (a proposito, che fine ha fatto l’attuazione di quella legge che sventolava la rivoluzione del medico di base h24?). Ci sarebbe pure la diminuzione delle risorse e la chiusura di servizi, tutto sotto la voce riordino sanitario regionale. Perché se chiudi alcuni ospedali sul territorio, significa più pazienti da visitare, più tempi di attesa, più degenza temporanea in corridoio in tutte le altre strutture, dove i pazienti spesso aspettano ore prima di essere ricevuti dal medico o addirittura aspettano anche giorni per essere ricoverati a causa della carenza dei posti letto. Da non trascurare anche un personale, dei pronto soccorso, sottoposto a incredibili carichi di lavoro e infermieri che terminato il turno di lavoro proseguono, chiamati in reperibilità, per coprire le carenze di organico. Senza contare che non si assume più, neanche per sostituire medici e infermieri andati in pensione, e se lo si fa è per sistemare, nei posti di vertice, gli accoliti incapaci e ignoranti ma molto servili dei politici, a cominciare da medici e direttori sanitari fantocci, eteroguidati e senza competenza. Tutti indizi che rafforzano la sensazione che qui, negli ospedali, si respiri ormai un’aria pesante, quasi di smobilitazione, come se la sanità, in questo momento, suscitasse poco interesse. Forse in attesa dei tempi migliori e del grande affare dell’ospedale unico, nel quale, però, se non cambia la musica, il personale sarà più o meno lo stesso di oggi, e soprattutto i metodi di gestione e lavoro saranno quelli di sempre: criminali. Nel frattempo i malati, stesi in barella, quando ci sono, lungo i corridoi, continuano ad aspettare. Da una parte una visita del medico o un ricovero, dall’altra l’indignazione della città che, purtroppo, tarda ad arrivare. Che popolo di merda!