{module Firma_Anton Giulio Madeo}Il bello delle elezioni locali, soprattutto nei piccoli centri, è che spesso fanno eleggere personaggi improbabili, appoggiati da liste improvvisate e programmi surreali. Alcuni sono davvero imperdibili, come i sindaci dei paesi arbereshe della provincia di Cosenza, che danno l’idea più dei taralli, prodotto tipico di quelle zone, che dei politici. I quali sono accomunati da un programma a prova di bomba: l’idea dell’Arberia, che sarebbe poi l’unione di tutti questi paesucoli in nome di una comune identità storico-culturale, che, dicono, sia formidabile volano di sviluppo, perché l’unione fa la forza, anche se non ho ben capito a cosa possa servire l’unione senza la forza, che, poi, è data dalle idee, che qui scarseggiano, almeno per ora, più del gas russo. E questi taralli sono una parte della classe dirigente del nostro territorio, ok. Non dissimile da loro, ma solo per confusione, è la classe politica regionale, che prima riceve questi sindaci, che dicono di voler fare il diavolo a quattro, poi li ascolta, nonostante propongano l’ovvio se non il nulla, poi, invece di mandarli a quel paese, come meriterebbero, li blandisce per la semplice ragione che questi personaggetti e le loro comunità votano, per cui vanno tutelati e protetti, come i panda, perché hanno il merito di conservare le tradizioni, la cultura e la lingua della loro terra, che poi sono cose morte e sepolte se non ci sono idee concrete capaci di tenerle in vita e farle diventare valore, ricchezza, soprattutto in un momento storico in cui si aprono scenari interessanti e inediti per il territorio dell’Arberia. Perché qui, forse nessuno se n’è accorto, la pandemia ha cambiato le nostre vite, per cui la gente vuole stare più a casa, grazie allo smartworking, allontanarsi dalle città, dove le abitazioni sono piccole e care, abitare i piccoli centri, dove c’è meno stress, meno inquinamento, più calore umano, cercare di avere più tempo libero da dedicare a sé stessa e alla famiglia. Insomma, uno scenario del tutto nuovo, inaspettato, che per la prima volta potrebbe inserire l’Arberia nel circuito dello sviluppo, giacché può garantire proprio quella qualità della vita che è diventata una priorità sempre più stringente per un numero sempre più numeroso di persone, ovunque si trovino. E se lo diciamo è perché siamo convinti che l’Arberia, attraverso la sua singola peculiarità, la sua storia, il suo straordinario capitale umano, artistico e paesaggistico, attraverso la genialità e l’accoglienza della sua gente, attraverso il valore complessivo della sua identità, possa dire la sua in questo scenario, ma a condizione che dia risposte concrete, reali, magari attraverso un patto, rivolto non solo alle istituzioni, ma a tanti uomini e donne di buona volontà, che dovrà dare a qualunque idea e a qualunque progetto la coniugazione del fare. Un Patto per l’Arberia, insomma, assunto non solo con chi lo sottoscriverà, ma anche con chi, da qualunque parte provenga, senta la necessità di sottoscriverlo, magari attraverso la Fondazione Arberia, finora cosa indecifrabile e inutile, e così confrontarsi su alcuni temi essenziali, diversi l’uno dall’altro, quali potrebbero essere una residenzialità di qualità, il turismo esperienziale, l’agroalimentare, la cultura, l’industria delle nuove tecnologie, il cablaggio del territorio, la sanità privata, tanto per fare alcuni esempi, che esprimeranno il sentimento comune della mancanza di processi utili e orientati alla crescita. Un Patto che pensiamo possa mettere al primo posto la necessità di valorizzare tutto ciò che l’Arberia è stata e tutto ciò che ancora può essere, tutto ciò che può godere in termini di bellezza e di grazia, tutto ciò che può ancora fare, ponendo queste qualità come motore dell’attrazione del suo territorio. L’Arberia rappresenta questo potenziale, che può diventare dirompente, anche in termini di ricchezza prodotta, grazie alla messa in atto di tutti i processi d’innovazione che servono. Da qualche tempo, ad esempio, siamo consapevoli che la digitalizzazione è lo strumento che permette di colmare, attraverso l’innovazione, lo scarto di velocità che separa questo territorio e le sue eccellenze da altre realtà, soprattutto in un momento in cui questo territorio è potenzialmente attrattivo, perché le persone e le aziende, come dicevamo, hanno voglia di vivere, lavorare, investire e rilassarsi in zone tranquille, sicure e fuori dal caos delle città. Ecco perché un ruolo importante lo può giocare proprio la digitalizzazione, intesa non come mezzo utile per un appiattimento culturale anche attraverso i social, ma, semmai, come strumento rapido per i collegamenti e la conoscenza, così come ci era stata raccontata ai suo albori. Uno strumento capace di liberare le menti e non di renderle schiave. E se l’innovazione, soprattutto di pensiero, è un percorso obbligato, per crescere e per legare e collegare questo territorio ad altre realtà produttive e reattive alle novità, essa non può essere disgiunta dalla capacità che avranno le classi dirigenti di creare rapporti all’insegna dell’eccellenza, dello scambio di informazioni e della capacità di fare formazione ed esperienze, che serviranno a rinnovare costantemente le idee, che di fatto sono le prime risorse di questo territorio. Dunque, la creazione di un vero e proprio circuito che metta a sistema realtà e luoghi della stessa Arberia, che è anche ricca di diversità, e quelle, che stanno altrove, che fanno (o vogliono fare) rete in questo progetto (un po’ sull’esempio della Silicon Valley, pur con tutti i distinguo, e delle università americane). E poi, lasciatecelo dire, è necessaria anche una nuova e moderna sussidiarietà sia verticale che orizzontale, perché se i bisogni dei cittadini non possono essere soddisfatti dagli enti amministrativi, è giusto che intervengano i cittadini stessi, i cosiddetti privati (e qui si potrebbe citare il caso delle città condominiali), oppure che un ente superiore aiuti un ente inferiore a svolgere un compito che quest’ultimo non è in grado di svolgere (la redazione di un piano strategico del’economia, ad esempio). Una sussidiarietà, capace anche di concorrere a elevare l’offerta delle amministrazioni che governano i territori, che sostituisca la cultura del sussidio, capace solo di generale dipendenza tra chi riceve e chi distribuisce risorse, con la cultura del fare e dell’esserci, che vorrà dire, per le amministrazioni pubbliche, sia uno snellimento della regolazione, sia una maggiore flessibilità fiscale, sia una maggiore attenzione verso le esigenze anche infrastrutturali del territorio, come potrebbe essere il miglioramento dell’offerta sanitaria. Il nostro non è un giudizio negativo su tutto quel che è stato fatto finora, ma lo è invece per il rapporto tra quel che andava fatto e si è finito per fare. Per questo il consiglio che ci sentiamo di dare, a quanti hanno deciso d’impegnarsi in questo progetto ambizioso, è quello di declinare, attraverso pochi punti, che andranno di sicuro via via arricchiti e sviluppati, un manifesto per una buona gestione, pubblica e privata, del territorio e la crescita della ricchezza. Un impegno formale che dovrà tramutarsi, da qui in avanti, in atti concreti e sottoscritti nel Patto per l’Arberia. Appunto.