Di questi tempi, cercare notizie interessanti è un’operazione difficilissima, perché notizie interessanti, in giro, ce ne sono poche, anche se una importante forse c’è e non ce ne siamo accorti. Parliamo del programma Lezioni di mafie, del procuratore-opinionista Nicola Gratteri, che chissà perché tutto e tutti attira, che alcuni giorni fa ha debuttato su LA7 e che, pensiamo, possa essere argomento interessante di cui parlare a lungo nei prossimi giorni, quando sarà passata la sbornia per Gaza e le elezioni regionali, per capire l’opportunità di una trasmissione fatta per riproporre, da Gratteri e dalla nuova Tele Kabul, la solita rappresentazione manichea, travestita da morale superiore, del fenomeno mafioso, raccontato attraverso vecchie storie e storielle di mafia e di famiglie mafiose, su cui sono state già scritte milioni di pagine, anche nei tribunali, in cui a una mafia cattivissima si contrappone uno Stato al limite della beatificazione e che per questo rischia di diventare un racconto oltre che ridicolo anche inutile. Perché se oggi vogliamo parlare sul serio di mafie, e evitare di rendere ogni discorso e racconto antimafia un camposanto della verità, per completezza dobbiamo partire proprio da qui: dalla demitizzazione della rappresentazione dello Stato come l’Immacolata Concezione, poiché spesso, lo Stato, assume, allo stesso modo delle mafie, le sembianze malefiche delle grandi organizzazioni criminali. Che sarà anche una definizione provocatoria, non lo mettiamo in dubbio, ma dalle solide basi culturali, che cercheremo di spiegare, per evitare che nell’opinione pubblica, spesso ostaggio della dittatura della gogna mediatica e del politicamente corretto, possa passare come una stupida provocazione e null’altro. E lo faremo partendo dalla Treccani, che definisce mafia ogni “sistema di potere esercitato attraverso l’uso della violenza e dell’intimidazione”, e arrivando fino allo sforzo eroico della pubblicazione di una rubrica, “provocatoriamente” intitolata Lezioni di mafia, che, unica nel suo genere, attraverso opinioni, fatti reali e vicende personali, cercherà di dimostrare, con un linguaggio libertario, quanto lo Stato (che cerca di mantenere un monopolio pubblico della violenza), allo stesso modo delle mafie (che cercano di sostituirlo con un monopolio privato della violenza), sia da sempre un nemico delle nostre libertà personali. Un nemico, tra l’altro, subdolo, al quale si dovrà dare anche un volto, oltre che una definizione, che sarà il volto del carnefice di tante storie comuni, paradossali ma vere, che vi racconteremo già da questa prima parte delle nostre lezioni, con la vicenda, seppur breve, di due donne, schiacciate dalla violenza del crimine. Due donne, una cui la criminalità organizzata ha chiesto, dopo tanti avvertimenti, compresa la minaccia di farle vendere la casa, 80 mila euro per una partita di droga di 30 mila euro non pagata, e l’altra da cui lo stato, dopo tanti avvertimenti, compresa un’iscrizione ipotecaria sulla casa, pretende circa 9 mila euro per una tassa non pagata (per colpa di un professionista incapace), altrimenti dovrà sborsarne 74 mila. Due donne, cui crimine e stato, alla fine, se non pagheranno, porteranno via tutto con la forza, compresa la casa, la prima. Due donne dallo stesso destino, come raccontano le cronache, forse perché vittime di uno stesso disegno criminale, anche se una delle due, alla fine, sarà più vittima dell’altra, perché diranno che tutto ciò che le è stato fatto in fondo è stato fatto a fin di bene. Provate a immaginare a quale delle due donne ci riferiamo e poi ditelo ai seguaci di Tele Kabul, magari con quella celebre frase che dice: se uno viene da me dicendomi che vuole farmi del bene, scappo. Alla prossima.