Editoriali

Elezioni regionali e gusto dell’orrido

 

Non c’è dubbio che i dati più rilevanti delle elezioni regionali, vista la bassa affluenza dei votanti (di cui parleremo in altro articolo), siano due. Intanto, la netta vittoria di Occhiuto, data da tutti per scontata, poiché, al di là della consistenza del suo comico avversario, dove non c’è voto di opinione vince inevitabilmente chi governa, perché chi governa controlla il potere quindi controlla i soldi e i voti. Poi, l’altrettanto netta sconfitta del partito giustizialista. O meglio, di chi pensava, o sperava, che l’indagine per corruzione, avviata dalla Procura di Catanzaro, potesse influenzare l’elezione di Occhiuto, che invece, vincendo, ha in qualche modo dimostrato quanto sia ampia la disaffezione della gente verso l’operato della magistratura, soprattutto quando svolge indagini che potrebbero sembrare fatte apposta per orientare l’elettorato. Due dati, la cui rilevanza può essere facilmente verificata al bar, dal barbiere, nei negozi, dove la gente continua a parlare di politica, anche se il problema è che alla fine, dopo aver detto la sua, non va a votare, sia per indifferenza sia per rassegnazione. Perché in fondo la gente è così: va a votare solo quando lo ritiene importante. Succede in ogni democrazia: il popolo vota quando sa che conta e c’è di mezzo qualcosa di importante. Come avviene per quelli che vivono in un paese di poche anime e si sono candidati a sindaco due signori popolarissimi l’uno e l’altro. In un’elezione come quella regionale, invece, il problema vero è che per buona parte degli elettori l’astensione è stata una forma punitiva, perché il giudizio di strada sul fatto che “tanto non cambierà niente” è stato molto diffuso, ed è forse quello che conclude la maggioranza dei discorsi sulla politica, perché la percezione che la gente ha della politica resta purtroppo quella, non banale come sembra, di un mondo chiuso in se stesso e autoreferenziale, spesso lontano dai bisogni delle persone comuni. Ecco perché i votanti in Calabria sono crollati al 43 per cento. Un dato da cui, se fossimo un po’ più onesti con noi stessi, dovremmo trarre l’unica lezione che si può apprendere da questo schifo di elezioni regionali, che è il fallimento del regionalismo italiano, anche nella percezione della gente, che pensa agli eletti come amministratori che si occuperanno di questioni destinate a rimanerci del tutto estranee se non oscure. Perché la gente è convinta che l’esercizio del potere sia una faccenda misteriosa. E, soprattutto, remota, lontana dalla sua vita, per cui, il cinque ottobre, ha portato la famiglia a fare la spesa oppure ha pensato a lavorare o addirittura andare in bicicletta o a recuperare sonno arretrato. È umano, perché se un cittadino/elettore non è in lizza per un posto di lavoro, una nomina, un finanziamento o in gara per un appalto, pensa che non abbia senso occuparsi di elezioni e “studiare” a fondo un candidato, i suoi trascorsi, le sue relazioni, le sue idee per come intende tradurle in pratica e non per come le dichiara. Richiederebbe molto tempo: sottratto inevitabilmente agli affetti e al lavoro. A fronte di benefici assai modesti.