Editoriali

Un ferragosto di ordinaria follia

Come tutti gli anni meta preferita del popolo di ferragosto è la montagna. Unico posto in cui, dicono i vacanzieri esperti, si possono trascorrere un paio di giorni, “rilassanti”, a contatto con la natura e lontani dallo stress e dai rumori cittadini. Ora, cominciamo col dire che io, a differenza dei vacanzieri, amo la città e detesto la montagna (e la campagna), che non mi rilassa per niente, perché la città mi offre, con tutti i suoi benedetti rumori, quel livello di stress e quelle diavolerie di cui ho bisogno, quotidianamente, per vivere bene, e rilassato, e che difficilmente troverei in montagna, tipo i clacson delle auto, il vocio della gente che va a fare la spesa nel vicino supermercato, il collegamento a internet, a Sky e al digitale terrestre, senza il quale sarei condannato a una vita difficile che mi priverebbe della rassegna stampa del mattino, degli aggiornamenti di questo blog, dei film e delle trasmissioni in streaming, quindi delle repliche di Grey’s Anatomy, Sex And The City, Revenge e Mozart in the jungle. Insomma, sarebbe una desolante rassegnazione a non poter vedere e leggere niente. E poi, penso, che non ci sia mai da fidarsi di chi ama la natura, perché dell’indole assassina della natura sa poco o niente, nonostante l’abbia vista all’opera con la devastante alluvione di questi giorni. Io invece la natura la odio, a cominciare dalle montagne sperdute e incontaminate. Dopo pochi minuti mi è insopportabile, mi soffoca, mi deprime, perché penso che dopo duemila anni non siamo arrivati fin qui per vivere isolati e circondati da polvere, insetti e animali. E non c’è verso neanche di pensare che per far fronte alla depressione, che ti assale appena metti piede in quei posti “inviolati”, puoi portarti dietro qualcosa per scamparla, tipo pennette per connessioni internet, iPhone, iPad, eccetera, con cui stare in contatto col mondo civile, perché in quelle zone di solito non c’è segnale manco a pagarlo a peso d’oro, per cui l’unica cosa che vorresti è un bell’albero dove impiccarti quando capisci la drammaticità della situazione. Per me sarebbe difficilissimo rilassarmi in montagna, perché in quei posti, dove a volte non senti una mosca volare, non funziona niente e per sopravvivere dovresti imbottirti di sonniferi. Ti deprimi anche quando vedi gli altri che vanno a fare una passeggiata nei boschi, magari a raccogliere, con gran fatica, quella frutta che al supermercato paghi, senza fatica, quattro soldi, perché tu li segui con la vana speranza di prendere uno straccio di segnale per connetterti alla vita vera, magari per acchiappare Radio Tre, l’unica che ascolto, ovviamente in streaming. E penso che nei momenti di cosiddetto rilassamento (?) non riuscirei neanche a leggere un libro a causa dell’ansia; lì qualsiasi libro ti porti lo apri e lo chiudi di continuo, non riuscendo neanche a concentrarti, non potendo neppure controllare la posta elettronica, cosa che normalmente faccio decine di volte al giorno. Oltretutto, in quei posti, non c’è neppure una farmacia vicina, per cui sei costretto a portarti dietro tutto l’indispensabile per curare i tuoi malanni. In quei luoghi “piacevoli” non puoi nemmeno consolarti guardando il cielo, magari nella notte di San Lorenzo, e perderti tra le stelle lontane. Intanto, perché l’inquinamento luminoso non ti fa vedere un cazzo, poi perché non appena volgi lo sguardo in alto ti viene in mente che tu le stelle, di solito, le guardi con Starwalk, l’applicazione di iPhone che serve a guardare il cielo e delle stelle ti dice ogni cosa, che ovviamente, in montagna, non funziona. Per cui per tornare a vedere il cielo devi tornare in città, dove senza bisogno di uscire scruti l’universo alla ricerca di quell’asteroide che, secondo molti scienziati, prima o poi, dovrebbe colpire la terra e ucciderci tutti e che tu speri di veder comparire da un momento all’altro, in modo da poter ammirare finalmente un evento naturale e davvero spettacolare: la fine dell’uomo e dunque degli imbecilli.