Chi, di questi tempi, pensa che ovunque vada si parli delle prossime elezioni regionali, pensa male, forse perché frequentando meno persone di quante ne occorrerebbero per capire la nostra società, non sa che la gente più che di politica senta solo il bisogno costante di parlare di altro, di cose più leggere, più divertenti, in cima alle quali, dove prima magari stava il calcio, oggi stanno i viaggi, anche quelli che ancora non ha fatto. Che essendo argomento molto più dibattuto (e piacevole) della politica, soprattutto a fine estate, più di una volta mi ha spinto a chiedermi per quale motivo così tante persone, tra cui molti miei amici, abbiano così tanta voglia di viaggiare. E anche se non sono riuscito ad avere delle risposte, se non quella, molto labile, della volontà di tanti di confermare attraverso il viaggio la propria esistenza, facendo qualcosa nel mondo, scattando foto, raccontando aneddoti, dicendo sono stato lì, credendo che per esistere basti visitare luoghi, su cui magari imbastire storie, che non raccontano niente, da mettere su Instagram, la mia ricerca mi ha dato almeno la certezza che l’entusiasmo di tante persone per il viaggio sia immotivato, poiché quello per cui si entusiasmano, e che sbrigativamente definiscono viaggio, in realtà sia solo volgare turismo, che sfortunatamente, per noi che non abbiamo bisogno di muoverci per esistere, è preoccupante, poiché il turismo, che ha poco a che vedere col viaggio, tra le attività legali, è probabilmente la peggiore attività che un essere umano possa compiere. Certo, noi facciamo finta di niente, perché il turismo, portando soldi e indotto, ci fa dimenticare che il turista, mediamente, è un pericolo ambulante, essendo uno che non sa niente di dove si trova, non parla la lingua del luogo dove va, che spesso devasta (vedi Venezia), fotografa monumenti che già hanno fotografato miliardi di persone e molto meglio, e che si trovano gratis su Google, parla in inglese, convinto che dappertutto si parli inglese, e soprattutto si sente cittadino del mondo, anche se, ed è incredibile dirlo, alla fine torna a casa esattamente com’era partito: senza che per lui sia cambiato niente, quindi convinto che tutti parlino inglese e che tutti vedano il mondo più o meno come lo vede lui. Perciò, il turista, è l’esatto contrario del viaggiatore, che invece dal viaggio, che è la forma più alta di conoscenza, quindi l’opposto geometrico del turismo, torna diverso o, a volte, non torna, perché il viaggio, che gl’impone di guardare le cose con gli occhi degli altri, essendo necessariamente limitato, a meno che non sia un etnografo o un antropologo, prevede lo studio, che inevitabilmente lo porta ad andare dove conosce o dove non conosce, ma almeno ha una conoscenza di partenza, che prevede di smettere i propri occhiali e mettere quelli degli altri, che notoriamente è una faticaccia. E allora, con tutto il rispetto, sinceramente, quando si parla di viaggi, forse, sarebbe il caso di togliersi gli affettati dagli occhi e iniziare a guardare la realtà per quello che è, non per quello che vorremmo vedere. E la realtà, purtroppo, ci dice che il problema, quando si parla di viaggi, è che in troppi fanno finta di vivere in un paese semplicemente che non c’è, dove non si accorgono che il turismo non è il viaggio, ma la sua caricatura, purtroppo anche abbastanza volgare.