{module Firma _Federico Kliche de La Grange}La crisi della nostra epoca è dovuta a quel male devastante che si chiama democrazia. Un sistema politico di cui l’uomo non avverte la pericolosità, perché pensa sia capace di proteggerlo dal dominio dell’aggressività del potere statale. Una balla colossale. La democrazia fa schifo quanto e più dei regimi totalitari, perché è essa stessa una forma di totalitarismo. Solo che gli uomini non l’avvertono come tale. Essi pensano che un regime che fa scegliere al popolo i propri governanti non possa mai essere il male assoluto di una civiltà. Invece, un sistema politico, qualunque sia la sua forma, non può mai essere un bene per l’uomo, perché è indissolubilmente legato a quell’organizzazione criminale chiamata Stato; che è tale perché si regge sulla coercizione e sul monopolio territoriale della giurisdizione, della sicurezza e della tassazione. Per cui l’uomo invece che per uno Stato democratico, anticamera del totalitarismo, dovrebbe battersi per una società libertaria, e cioè senza Stato. In tempi recenti è stato proprio l’avvento della democrazia a portare quel forte processo di decivilizzazione che ha fatto diventare vita, libertà e possessi ancora meno sicuri di quanto non fossero in passato. Infatti, il concetto di democrazia è legato a quello di una nazione totalmente politicizzata, dove la classe politica legifera senza sosta e interviene costantemente nella società per cercare di risolvere ogni tipo di problema. Il potere democratico è quindi illimitato (e totalitario) nel suo oggetto, perché niente sfugge alla competenza legislatrice che si attribuiscono i governi e i parlamenti democratici. Democrazia e totalitarismo, quindi, non sono due termini reciprocamente esclusivi, ma fanno parte della stessa famiglia della modernità politica. Il totalitarismo è il particolare aspetto che assume la tirannide nell’epoca della democrazia di massa, quando il potere politico oltre a essere illimitato nel suo oggetto lo è anche nella sua estensione. La democrazia accentratrice e regolamentatrice è il necessario periodo d’incubazione del totalitarismo, avendogli fornito strumenti come il monopolio statale dell’istruzione, un esteso apparato fiscale e burocratico, e la potenza poliziesca, che i sovrani dell’antico regime conoscevano appena. Direte: ma lo Stato non è un male necessario? Fortunatamente no. E anche se lo fosse, dovrebbe essere monarchico e non democratico. Perché la monarchia essendo un sistema che prevede la proprietà privata del governo e una forte coscienza di classe da parte dei non-governanti, eviterà di espandere il potere e di sfruttare pesantemente i suoi sudditi, poiché più è basso il grado di sfruttamento della popolazione più è alto il valore del monopolio parassitario del monarca. Una democrazia, invece, in cui prevale la proprietà pubblica del governo, avrà amministratori temporanei (eletti dal popolo) che useranno il più rapidamente possibile le risorse pubbliche per aumentare lo sfruttamento dei cittadini, tramite la tassazione. Il principio democratico, dunque, è una grande presa in giro, poiché basandosi sull’idea di riconoscere a tutti il diritto di voto e il libero accesso alle cariche pubbliche elettive, mette ogni individuo e la sua proprietà alla mercè di chiunque e al saccheggio. Sarà stato anche vero che i sovrani assoluti negavano a buona parte della popolazione il diritto alla partecipazione politica, ma almeno i sudditi venivano di solito lasciati liberi di fare, praticare le loro usanze e di svolgere i loro affari, senza che i sovrani intervenissero nel diritto privato. Lo dimostrano i dati. Durante l’intera epoca monarchica e fino alla seconda metà del XIX secolo, la pressione fiscale non ha mai superato il 5% del PIL, mentre dopo si è aggirata intorno al 15-20% per giungere all’attuale 50%. Stessa progressione hanno avuto i dipendenti pubblici (che oggi si aggirano attorno al 15-20% della forza lavoro europea), il debito pubblico e la legislazione dello Stato. E in quest’ultimo caso le cose sono andate peggio del previsto, poiché durante l’epoca monarchica il re e il suo parlamento erano considerati sottomessi alle leggi e si limitavano ad applicare leggi preesistenti come giudici o giurie. In poche parole non potevano creare diritto. Comunque l’alternativa cui dar vita non è una scelta tra democrazia e monarchia, ma tra Stato e ordine naturale. E cioè tra una forma di convivenza basata sulla coercizione e sul monopolio territoriale della giurisdizione, della sicurezza e della tassazione, e una società basata sulla proprietà privata, la competizione, la produzione e lo scambio volontario. Solo che il risultato naturale delle transazioni tra proprietari privati sarà decisamente non-egualitario, gerarchico, elitista. Per cui vista la diversità dei talenti umani, in ogni società alcuni individui raggiungeranno velocemente lo status di elite altri no. Grazie alla loro maggiore ricchezza e saggezza, al loro coraggio, o alla combinazione di queste qualità, certi individui arriveranno a possedere una autorità naturale sui loro simili, e i loro giudizi e le loro opinioni acquisteranno nella società un ampio rispetto. Inoltre, a causa dei matrimoni selettivi e delle leggi civili o biologiche dell’ereditarietà, è probabile che le posizioni di autorità naturale si tramandino entro poche famiglie nobili. E’ ai membri di queste famiglie con alle spalle una lunga tradizione di grandi realizzazioni, di maggior previdenza, e di esemplare condotta personale che gli uomini, come avveniva durante l’epoca medioevale, dovranno tornare a rivolgersi per risolvere i loro conflitti. Infatti, saranno proprio questi stessi leader dell’elite naturale che dovranno svolgere la funzione di giudice e pacificatore: spesso senza compenso, solo per adempiere agli obblighi che ci si attendono dalle persone autorevoli o per soddisfare il proprio bisogno di giustizia, realizzando così privatamente un bene pubblico. E bisognerà fare in modo che non si commetta più l’errore del passato, quando si pensò di monopolizzare la funzione di giudice e pacificatore. E ciò si verificò quando un membro delle elite volontariamente riconosciute, riuscì a ottenere, contro l’opposizione degli altri nobili, che tutti i conflitti all’interno di uno specifico territorio fossero portati davanti a lui, e che le parti in conflitto non potessero scegliere un giudice diverso. Fu così che nacque lo Stato. E fu così che aumentarono l’inefficienza, il prezzo e la cattiva qualità della giustizia, e ciò fece sì che si mettesse in discussione il concetto stesso delle elite naturali perché si fece confusione sulla causa del fenomeno. Alcuni notarono correttamente che il problema non era l’elite, ma il monopolio. Su di essa però prevalsero nettamente quelli che, mettendo erroneamente sotto accusa il carattere elitario della guida della società, volevano mantenere il monopolio nella produzione e applicazione del diritto, e limitarsi a sostituire le elite con il popolo e la presunta modestia e decenza dell’uomo comune. Di qui il successo storico della democrazia. Ora, finalmente, è arrivato il giorno in cui anche le democrazie saranno messe in discussione, anche se, questa volta, il problema sarà più difficile da affrontare di quando i nobili persero la loro legittimità. Allora sarebbe stato sufficiente abolire il monopolio nella produzione ed esecuzione della legge per tornare a un ordine naturale di giurisdizioni concorrenti, poiché c’erano ancora dei residui di elite naturali capaci di accollarsi questi compiti. Oggi questo non è più possibile. Perché se si dovesse abolire il monopolio sul diritto e sull’applicazione del diritto degli Stati democratici, non vi sarebbero altre istituzioni cui rivolgersi, per cui il caos sarebbe generalizzato e inevitabile. Così, oltre a chiedere l’abolizione della democrazia, sarà di fondamentale importanza sostenere tutte le forze sociali decentralizzanti o perfino secessioniste, perché la tendenza plurisecolare alla centralizzazione, che ha caratterizzato il mondo occidentale moderno, dev’essere invertita. E anche nel caso in cui dalla secessione dovesse sorgere un nuovo Stato, democratico o meno, l’aumento della competizione tra governi territorialmente più piccoli incoraggerà la moderazione nello sfruttamento. E in ogni caso solo entro piccole comunità o distretti sarà ancora possibile per alcuni individui, grazie al riconoscimento popolare della loro indipendenza, eccezionale competenza professionale, vita personale impeccabile, giudizi e gusti superiori, raggiungere la posizione di autorità naturali volontariamente accettate, e dare così legittimità all’idea di un ordine naturale in concorrenza e giurisdizioni sovrapposte. Una società anarchica regolata dal diritto privato come risposta alla democrazia.