Sorsi & discorsi

Il Cenacolo (Corigliano)

Ma dov’è che si mangia male nel territorio della Sibaritide? Forse sulla costa perché il mare, si sa, è sempre un po’ extraterritoriale e certo nessun sano di mente andrebbe a cercare la vera cucina calabrese in riva allo Ionio. Si mangia bene invece sulle nostre colline o in montagna, come abbiamo già scritto tante altre volte, ma si mangia bene anche in pianura, esattamente allo Scalo di Corigliano, popolatissimo agglomerato urbano che sta in mezzo tra la marina di Schiavonea e il centro storico. Qui si trova il ristorante-trattoria Il Cenacolo. E’ alla fine della lunga strada di Santa Lucia, che collega lo Scalo con la 106 bis, la famosa superstrada ionica che attraversa quelli che un tempo furono i centri della Magna Graecia. Ma non è di itinerari culturali che oggi vogliamo parlare, bensì della cucina tipica calabrese, ineccepibile nonostante sia una di quelle stanche e afose serate estive, quando la gente preferisce passeggiare in riva al mare o in montagna e nei ristoranti aleggia la tentazione di tirare i remi in barca, riciclare i piatti, ridurre il menù. Non qui al Cenacolo. All’appello non manca una pietanza e possiamo quindi gustare una cena squisitamente ”tamarra”, secondo le parole usate da Tonino Chiaradia per definire l’ottima culinaria coriglianese. Rustica con grazia, senza neanche l’imposizione dell’abboffo perché le ricette sono antiche ma le porzioni contemporanee. Sembrano appena estratte dalla credenza della nonna (o della mamma, come nel caso di Tonino). Qualcuno di là ai fornelli è capace di trasformare delle semplici verdure, del pesce azzurro o della carne di capra, non proprio il simbolo della raffinatezza, in una delicata tavolozza di pietanze, dal buffo nome dialettale, da leccarsi i baffi: melanzane “ghini” o “mezz mezz”, alici “arriganate”, “maccarruni cu rà sarsa”, “tagliatelle e ciciri”, “cannaruzzielli e fagioli”, “baccalà e patate”. Del resto al Cenacolo verdure e carne locale, come quella di maiale (da cui Chiaradia ricava delle stupende grigliate o addirittura le cotiche con i fagioli), sono di casa. L’antipasto di campagna, consistente, oltre che in salami e formaggi locali, in verdure (rape, pomodori, cavolfiori, zucchine, peperoni e patate …), alcune fritte con garbo, fa pensare che qui, fra Schiavonea e il centro storico, c’è dimestichezza con un oggetto sconosciuto quasi ovunque, l’orto. La rosa marina, che è il novellame di sarda, si gusta fritta o impastata col pepe rosso, buonissimi sono i dolci locali: cullurielli e addirittura buonissimissime le crespelle, forse le migliori mai assaggiate. Sarà l’entusiasmo ma le crespelle zuccherate o i crustuli intinti nel miele di fichi che fanno a casa Chiaradia, ci sembrano racchiudere tutto il sapore e tutto il calore di Corigliano. Non c’è più spazio per elogiare la pizza (di un grande pizzaiolo) e il vino locale, credeteci sulla parola.

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