Editoriali

Più che i turbatori d’asta la gente processa i grandi masturbatori della classe dirigente

{module Firma _Teodoro F. Klitsche de La Grange}Caro direttore, nella vicenda dei professionisti arrestati e indagati per corruzione e turbativa d’asta non ho visto lo sconcerto e l’indignazione dei cittadini che descrivi nei tuoi articoli. E, credimi, non ne sono deluso: lo ritengo un gesto di grande maturità da parte dell’opinione pubblica. La quale, di fronte agli eventuali atti criminali dei professionisti arrestati e indagati, dimostra indulgenza, comprensione, scetticismo, perché non più preda dell’isteria giustizialista dei tempi di mani pulite, quando voleva tutti in galera (anche se solo sfiorati dal sospetto di un reato), esaltava chi arrestava, anche con faciloneria, metodi rudi e in spregio alle garanzie costituzionali, politici e “colletti bianchi” e riteneva complice del malaffare, con conseguenze politiche devastanti, chi si limitava a difendere non i criminali ma lo stato di diritto. E se oggi la gente ha fatto marciaindietro, sul giustizialismo, è perché è stufa di ciò che accade sul pianeta Giustizia e non si fida più dei magistrati. E’ finalmente consapevole che questi ultimi non sono più (o non sono mai stati) i salvatori della patria, quelli che garantiscono onestà, coraggio e giustizia, visti i pessimi risultati ottenuti. Anzi, oggi, è sorprendente notare come in molte persone prevalga il tentativo di difendere, giustamente, gli accusati, gli eventuali delinquenti in doppiopetto, che ritengono innocenti fino a prova contraria e forse anche vittime d’ingiusta detenzione e sputtanamento mediatico, e di mettere in discussione (o sotto processo, visto l’argomento) certi magistrati, quelli più disinvolti e meno parziali, più ideologizzati, quelli che hanno abusato del potere smisurato che gli hanno conferito governi incoscienti e cagasotto e di cui la gente comincia a diffidare se non ad avere paura. Infatti, tra la gente (e questo è il vero problema), c’è la percezione che se chi deve garantire l’applicazione e il rispetto della legge è il primo a violarla o ad aggirarla (con la conseguenza di tante inchieste flop che hanno devastato la vita di tanti innocenti), fottendosene dello stato di diritto, allora chiunque è autorizzato a delinquere o addirittura a pensare che in galera ci stia tanta gente illibata. Questa è la conclusione alla quale inevitabilmente approdano i ragionamenti di chi approfitta del caso dei turbatori d’asta per mettere alla sbarra la categoria dei magistrati, che spesso ci ha messo di fronte a casi scandalosi di malagiustizia, come quelli di Bossetti e Palamara o dei tanti innocenti distrutti dalla furia giustizialista di mani pulite (vedi i casi Mannino e Berlusconi). Perciò, è inutile giraci attorno: qui, purtroppo, si nota, tra la gente, una sconfortante sfiducia non nei confronti dei professionisti indagati, ma della magistratura, a cominciare da quella civile, che così rischia di sporcare la credibilità di una categoria essenziale in ogni paese civile, anche per produrre ricchezza, che non cresce lì dove c’è barbarie giuridica, incertezza del diritto e della pena. Pur nella sua possibile meschinità, quindi, la vicenda White collar potrebbe aver fatto emergere un aspetto confortante: la voglia della gente di ribellarsi a un’idea di giustizia sommaria, ingiusta e illiberale, che spesso c’è e si vede, e la necessità, molto avvertita, che si applichino le regole di uno stato di diritto, che non celebri processi sommari e mediatici e non condanni nessuno prima di un processo o che sia innocente. Questa sì che sarebbe una grande battaglia di civiltà e di umanità per la nostra classe dirigente. Se White collar (di cui non conosciamo ancora gli esiti) rischia di diventare, tra la gente, speriamo non in maniera silente, un processo allo stato e alla magistratura anziché a persone che potrebbero aver commesso gravi reati ma innocenti fino a prova contraria, è anche perché la nostra classe dirigente ha sempre accettato (o sopportato) in silenzio una magistratura che spesso ha mostrato poco riguardo per le libertà e i diritti costituzionalmente garantiti delle persone, mettendo dietro le sbarre gente anche solo per il gusto di farlo o perché vittima di inchieste condotte coi piedi e processi indiziari, magari per pregiudizi ideologici o incapacità professionali (vedi ancora caso Bossetti). Ecco perché, caro direttore, non è colpa nostra se percepiamo, tra la gente, l’idea che giustizia faccia rima con immondizia. E certe assonanze spesso riflettono la realtà e la gente lo ha capito. È ora d’indignarsi per questa sfiducia che si avverte nei confronti di una magistratura che per anni ha fatto scempio della meritocrazia e della legalità, per cui è considerata inaffidabile e ingiusta. Ma occorre che questa indignazione la si esprima pubblicamente con determinazione e coraggio, senza paura e senza nascondersi dietro semplici post sui social, magari anonimi, che chi è classe dirigente e quindi fa politica non può più permettersi. La classe dirigente è anche questo: una schiatta di persone dalla schiena diritta, che al momento giusto sa da che parte stare e ostenta, di fronte alla cialtroneria, gesti quotidiani di coraggio. Ecco perché è giunto il momento per sottoscrivere un grande manifesto liberale e per la giustizia giusta, sull’esempio di ciò che propose qualche anno fa Marco Pannella.

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