Editoriali

I vizi non sono crimini (1)

{module Firma_Edilberto de Angelis}“Tesoro mio, in non volio lavoro, io volio soldi, tanti soldi per tornare da mia famiglia, in mio paese”. Raffaella, chiamiamola così, è una romena, prostituta fai da te, che rappresenta l’altra faccia del fenomeno prostituzione; una faccia che molti non conoscono o fanno finta di non conoscere, perché su questo argomento è meglio tenere atteggiamenti politicamente corretti, tanto per non fare arrabbiare nessuno.

Incontriamo la sua faccia da trent’enne sulla statale 106 bis, la superstrada che qualcuno ha definito, sbrigativamente, la strada delle schiave del sesso, mentre vestita con abiti normali aspetta i suoi clienti, che dal movimento di macchine che si nota dovrebbero essere tanti.

Lei, sulla strada, ci passa solo poche ore al giorno, anche perché la polizia le sta addosso, quanto basta per mettere da parte un discreto gruzzolo che non deve dividere con alcun protettore, poiché qui l’accompagna il proprio fidanzato.

La sua storia è lì a confermarcelo: partita dalla sua terra per andare in una grande città a fare questo mestiere, si è poi trovata da queste parti, dove c’è meno concorrenza, con l’obiettivo di fare quattrini in modo semplice, senza essere sfruttata, magari in qualche agrumeto, dove le autorità chiudono davvero un occhio, e senza fare del male a nessuno. Liberamente.

Non è molto cara. Per una quindicina di minuti, da consumarsi in macchina, la sua tariffa è di 25 euro per una scopata, poco meno per un pompino, il quadruplo se vuoi portartela a casa. Vive da queste parti, in una casa modesta. All’imbrunire la riposta a casa il suo fidanzato o i suoi stessi clienti, almeno quelli più affezionati, di cui può fidarsi. Le chiediamo se il freddo non le dia fastidio e per quale ragione non lavori in casa. Dice che sulla strada si guadagna di più e più in fretta.

Per chi si aspettava di trovare donne maltrattate, sfruttate, schiavizzate o comunque molto infelici della loro condizione, l’impatto con questa realtà non è dei più semplici. Raffaella non è un caso limite, la prostituzione è anche questo: una libera scelta: una libera professione, quando lo stato deciderà di fartela fare in tutta tranquillità. Infatti, le giovani prostitute con cui abbiamo parlato, anche in confidenza, che hanno dato segni d’insofferenza per la loro condizione sono state solo quelle che stentano a guadagnare qualcosa, forse perché sono inguardabili. Per cui, pensiamo che Raffaella non sia l’eccezione ma la regola.

Il paragone con l’idea che molti hanno delle puttane è stridente. La maggior parte di quelle da noi avvicinate vengono dall’Europa dell’Est e vivono tutti sommato bene, in case decenti, e se gli parli di un lavoro “onesto” ti mandano a quel paese, guardandoti come una specie d’idiota. Negano di avere un “magnaccia”, o in qualche caso lo descrivono come un amico, che le aiuta nei momenti difficili, se ne prende cura e in cambio vuole poco. Sono poche quelle che si sono liberate dai loro protettori, ma, giurano, tutte, di averlo fatto senza subire violenza e senza dover pagare nulla.

Queste donne, insomma, non hanno paura dei loro amici, ma solo di carabinieri e polizia e di qualche malintenzionato. I primi possono dargli grossi fastidi se gli requisiscono i documenti, i secondi dargliele di santa ragione per portargli via l’incasso del giorno.

Insomma, per la gran parte di queste donne battere dalle nostre parti è un vero e proprio affare. E allora lo sfruttamento di cui parlano tutti quei ciarlatani che vorrebbero la repressione più feroce, multare se non arrestare i clienti, eccetera? Tutte balle. Su cinquanta ragazze straniere che arrivano qui da noi, ci riferiscono fonti ben informate, sono pochissime quelle che sono sfruttate; le altre, invece, sanno benissimo cosa verranno a fare e lo fanno sapendo che il “mestiere” è l’unica occasione che hanno per avere un vita migliore, magari nel loro paese.

Balle anche la storiella delle donne in catene controllate minuziosamente con i ricatti o con le minacce di ritorsioni sulle loro famiglie peraltro lontanissime. Non c’è nulla da fare: anche in questo caso i proibizionismi sono destinati a fallire, l’unica soluzione seria sarebbe quella di liberalizzare, per rendere finalmente dignitosa questa professione. Se ne può parlare senza toni fondamentalisti?

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