calze a rete

E se andassimo tutti a puttane?

{module Firma_Anton Giulio Madeo}Il nostro territorio è da tempo quello di più interessato dal fenomeno della prostituzione. Infatti, è proprio sul tratto coriglianese della ss.106 bis che da qualche anno si concentra il maggior numero di zoccole della Piana di Sibari. Direte, perché proprio qui. E’ un mistero buffo, che qualcuno ha cercato di spiegare dicendo, semplicemente, che i coriglianesi sono forse gli esseri più viziosi e degenerati della Terra, oppure, più realisticamente, che qui da noi c’è più gente disposta a gestire e proteggere queste giovani ragazze, in gran parte dell’est europeo, che comunque fanno un mestiere rischioso. Ragazze che per la modica cifra di 25 euro soddisfano le esigenze dei tanti che vogliono scopare senza troppi problemi: e cioè che non vogliono chiedere alle proprie mogli (o compagne) l’altro orifizio (molto più divertente, eccitante e misterioso di quello principale) o di suonargli il piffero con la stessa bocca che poi bacerà i propri figli, e che odiano faticare per garantire a una donna (spesso senza riuscirci) quella cosa difficilissima che si chiama orgasmo. Sulla prostituzione ormai si è aperta una discussione molto accesa. L’opinione pubblica, anche su questo argomento, si è spaccata in due. Da una parte ci sono i moralizzatori dell’ultim’ora, quelli che vorrebbero proibire il meretricio, con leggi indegne di un paese libero, perché dicono che così si ripulirebbero un po’ le nostre strade e si libererebbero ragazze schiavizzate, e perché ritengono che pagare una donna per fare sesso sia insensato. Della serie: io faccio già fatica a scoparti e normale che poi ti debba anche pagare? Roba da matti. Dall’altra, invece, abbiamo chi, come i libertari, tra cui il sottoscritto, ritiene che al mestiere più vecchio e allegro del mondo vada data la dignità di qualunque altra professione. Anche perché lo Stato non dovrebbe mettere mai il naso in questioni che riguardano la sfera dei comportamenti privati. E allora come se ne esce, come direbbe un mio caro e saggio amico. Semplice: partendo dalla definizione di prostituta. Che è, come sappiamo, una signora che spontaneamente e liberamente fornisce sesso in cambio di denaro. E fin qui non c’è nulla di scandaloso, in fondo la prostituta non fa altro che fornire volontariamente, a una società di uomini liberi e consenzienti, un servizio molto richiesto, che ha una sua domanda, un suo mercato, allo stesso modo di ogni altra merce o prestazione. Tempo addietro, negli Stati Uniti, un editore affrontò questo argomento in maniera assai originale: sulla copertina di un suo periodico pubblicò la foto di un lattaio e di un pasticciere mentre consumavano, scambiandoseli, i loro prodotti. Entrambi erano soddisfatti del loro scambio spontaneo. Eppure nessuno si è mai sognato di chiedere l’abolizione dei dolci giacché provocano l’aumento dell’obesità, del diabete, delle malattie cardiocircolatorie, soprattutto nei più giovani. Chi lo farebbe si coprirebbe di ridicolo. Questo esempio, che con la prostituzione c’entra come i cavoli a merenda, sta a indicare che quando uno scambio avviene spontaneamente, senza l’uso della forza da entrambe le parti, nessuno ha la facoltà d’impedirlo. Soltanto il consumatore, che in un’economia libera è l’unico soggetto sovrano, può decidere, se il prodotto da lui acquistato è scadente, di rifiutare quel tipo di merce in futuro. Così dovrebbe avvenire con la prostituzione. Il problema potrebbe nascere solo tra cliente e prostituta, qualora uno dei due adulti consenzienti che partecipa allo scambio fosse insoddisfatto della prestazione, magari perché gli fa schifo acquistare un po’ di fica maleodorante in mezzo a una strada. Invece, qui succede che coloro che non sopportano questo mestiere, per motivi etico – religiosi, civili o sociali, siano proprio quelli che non sono minimamente coinvolti nello scambio. Politici bacchettoni, associazioni caritatevoli, ipocriti benpensanti, eccetera. C’è, dunque, una certa riluttanza ad accettare la normalizzazione della professione di prostituta. E la difficoltà nasce dal fatto che noi proviamo un forte imbarazzo a pensare al sesso come a una merce, come a un qualcosa che si possa vendere e comprare. Ma se riflettiamo bene così grave non è. Noi uomini quando facciamo sesso in cambio di questa prestazione offriamo sempre qualcosa. Mentre con la prostituta questo “qualcosa” è immediatamente percettibile, il denaro, con altre donne si tratta di un qualcosa che non si vede subito. Ad esempio: nel matrimonio, di solito e soprattutto negli ambienti meridionali, il marito fornisce gli elementi economici per il sostentamento della famiglia, mentre la moglie fornisce le funzioni casalinghe e sessuali. Nel fidanzamento avviene qualcosa di simile: l’uomo paga le cene, i fiori, i regali, e la donna contraccambia con prestazioni sessuali. In questi casi gli schemi proposti rispondono al modello della prostituzione: sesso in cambio di qualcosa. Quando si tratta di amore lo scambio è in termini di affetto. Ma è pur sempre uno scambio (che nel tempo ci costa l’iradiddio). Quando si tratta di prostituzione lo scambio è in denaro (con il vantaggio che tutto finisce nel giro di pochi minuti). In tutti e due i casi si tratta di uno scambio volontario tra adulti consenzienti. E allora se si ragionasse in questi termini forse si eviterebbero tanti problemi di natura sociale e di ordine pubblico. A molte di queste ragazze si darebbe finalmente la possibilità di uscire dalla clandestinità e il mestiere più antico del mondo non sarebbe più controllato dalla malavita. Nello stesso tempo a un governo che si definisce liberale, e che dovrebbe occuparsi di cose più serie, si darebbe la possibilità di evitare una figuraccia arrestando clienti e battone. Perciò, e se andassimo tutti a puttane?

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