Editoriali

Acri, il miracolo di San Tommaso

{module Firma_redazione}Obiettivo miracolo. O forse bisognerebbe solo scrivere obiettivo ricchezza, trattandosi di argomento economico? Chi lo sa! Certo è che, al di là delle definizioni, quel che conta è che per raggiungerli entrambi, questi obiettivi, bisogna osare, osare tanto: anche di bloccare i tuoi amici e dirgliene quattro. Quattro idee, s’intende. Può capitare che vi ascoltino, si interessino e vi mettano alla prova. Come è accaduto al mio amico Tommaso, di Acri, paesone di mezza montagna vicino Cosenza, che un giorno a due suoi amici, Tommaso “l’altro”, con cui già gestisce un bar-tabacchi, e Fabiano, propone di mettere su una pizzeria. I due, prima si guardano, poi indecisi sul da farsi, e cioè se menare il loro amico o lasciar perdere, poiché in giro, di pizzerie, ce ne sono tante, si voltano, sorridono e gli stringono la mano, come di solito si fa coi matti. Seguono chiacchiere varie, bischerate, qualche bevuta, ma alla fine, quel che conta, non ci crederete, è che dopo dieci minuti si scambiano alcune idee e decidono di riparlarne. Trascorre del tempo. Tommaso non si illude certo che i suoi amici lo abbiano preso sul serio, soprattutto in una realtà difficile come Acri. Ma una sera squilla il telefono: “Sono Tommaso”, l’altro, quello buono. Il quale dice, all’esterrefatto interlocutore, che lui e Fabiano ci stanno, si può fare. Così, fra i tre, è nato il patto che ha dato vita, all’incirca quattro anni fa, a Vadolì, una pizzeria creativa, come la definiscono loro, i bravi ragazzi, che pian piano diventa una delle migliori del Sud, grazie soprattutto all’impegno di questi tre visionari, che, per tornare al titolo del nostro articolo, compiono davvero un miracolo, visto che di loro comincia ad occuparsi anche Gambero Rosso, con le sue segnalazioni e soprattutto, piccolo e non trascurabile particolare, che nessuno dei tre aveva mai fatto questo lavoro. Oddio, i due Tommaso avevano già un bar, ma con farine e condimenti di qualità avevano poca dimestichezza. I loro mestieri erano, in ordine di follia, l’assicuratore e l’impiegato cui dobbiamo aggiungere il cartografo Fabiano. Ciò a dimostrazione che quando si crede in qualcosa, quando si hanno idee nuove e tanta, tanta voglia di lavorare e d’impegnarsi, anche in cose difficili e in ambienti ostili, i miracoli riescono, in questo derelitto Sud, dove, oggi, la pizzeria creativa di Tommaso e soci raccoglie sempre più la fiducia dei clienti, che crescono di anno in anno, rinforzando così l’impalcatura di un’idea che, all’inizio, aveva tante falle. E allora, raccontiamola la storia di questi “sfrontati” amici. Che comincia all’incirca quattro anni prima, quando i tre riflettono su qualcosa da fare nel ramo della ristorazione; e non è una decisione facile da prendere, perché nel settore c’è tanta concorrenza. Pensano, all’inizio, a una paninoteca, poi cambiano idea e optano per una pizzeria, ma una pizzeria gourmet. Così, per paura di un avvenire da anonimi e abbruttiti pizzaioli di paese, si buttano nello studio come maniaci, per capire cosa fare e le opportunità che il mercato offre a una cosa così impegnativa. Insomma, vogliono fare le cose per bene. Partono dai prodotti di qualità, soprattutto territoriali, studiano le farine, gli impasti, i metodi di lievitazione, gli oli, i salami, e Fabiano arriva anche a seguire i corsi dei maestri pizzaioli. L’arrivo, però, è dietro l’angolo: quattro mesi dopo, quando aprono. È ovvio che si tratta di una sfida, in cui, i tre moschettieri, si buttano a capofitto, tutti per uno, uno per tutti. Scelgono anche un nome diverso per il locale, che di sicuro incuriosisce: Vadolì, pizzeria a regola d’arte, e scelgono anche di dare alle loro creazioni, perché proprio di questo si tratta, i nomi di artisti. Così, nascono la Botero, pizza con la burrata che ricorda le rotondità delle figure del colombiano, la Mattia Preti, ricca di prodotti calabresi perché il celebre pittore caravaggesco era di Taverna, la Andy Wharol, che per i molti colori è un omaggio alla pop art. Insomma, un tripudio di bellezza e bontà. Gli inizi, ovviamente, sono duri, poi è un trionfo. In alcuni anni, dandoci dentro con la volontà e l’attenzione dedicata soprattutto alla stagionalità e alla territorialità dei prodotti, tutti di altissima qualità (arrivano addirittura a farsi produrre oli biologici aromatizzati e una birra su loro ricetta), la clientela aumenta notevolmente. Riscuotono eccellenti commenti e acquisiscono un’esperienza di prim’ordine, che oggi gli permette di veleggiare sicuri nelle burrascose acque di un settore difficile com’è quello della ristorazione. Loro e la loro sfida, dunque, hanno avuto ragione. Ma come, e a chi dimostrarlo? Soprattutto a tanti nostri giovani, che più che tuffarsi nel reddito di cittadinanza o nella fuga, dovrebbero darsi una chance, un esempio, un valore, una speranza, un progetto di vita in cui credere, oggi unico modo per accedere alla felicità e al benessere. Magari seguendo esempi concreti, come quello di Vadolì, che possano contrastare la tendenza alla mediocrità e al nulla e far capire che il successo bisogna meritarselo, con sacrificio, con abnegazione, altrimenti che ne sarà di questa povera Calabria. Ma la speranza, a volte, sta dietro l’angolo, basta solo capire che potrebbe avere una faccia umile, come quella dei tre moschettieri di Acri. Uomini del Sud, coraggiosi e orgogliosi, cui nessuno ha mai regalato niente. Che appartengono a quella gente comune che potrebbe essere il miglior testimonial di un Sud caparbio, che si riscatta da solo, che non vuole aiuti e elemosine, perché è in grado di lottare, sacrificarsi, cadere e rialzarsi senza l’aiuto di nessuno. Basta solo crederci, perché nella rappresentazione, i tre moschettieri sono uomini veri. Sono un simbolo e la dimostrazione che impegnandosi si può arrivare dappertutto. Pur essendo di Acri. Profondo Sud, da riscattare.

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